Poi una risata sguaiata attirò la sua attenzione. Qualcuno, un volto qualunque seduto a un posto qualunque in fondo al tavolo, rideva poco elegantemente lasciando intravedere la poltiglia di cibo e saliva nella bocca. Un cameriere fece scivolare una posata dai piatti impilati, con un gesto sgraziato ma veloce del piede ne fermò la corsa e un sorriso di autostima gli allungò gli angoli della bocca, poi si abbassò per raccoglierla ma due piatti caddero a terra e il sorriso si trasformò in un’imprecazione ad alta voce. Qualcuno rise, qualcuno no. Una mamma indignata spiegava al figlio che il cameriere aveva uno “ZIO SPORCO”. Lena sorrise e tornò a guardare l’uomo che rideva al suo tavolo, aveva appena messo in bocca un altro boccone e, incurante degli sguardi disgustati degli altri commensali, continuava a ridere a bocca aperta. Il vento fresco portava l’odore dei gelsomini dalla ringhiera della grande terrazza e dei bambini correvano sotto la tettoia da cui i glicini pendevano sui tavoli come le vecchie di paese, affacciate ai balconi a curiosare. Un raggio di sole caldo e poi l’ombra umida di una nuvola scura regalavano un senso ibrido di fresco primaverile e stantio di fine agosto. Si avvicinava un temporale estivo. Lena sbadigliò e, stirandosi sulla sedia con le braccia rivolte ai glicini, chiuse gli occhi e pensò alla serenità dei suoi quindici anni. Il futuro si stagliava all’ orizzonte, incerto e meraviglioso. Poi un colpo al fianco destro.
“ Non è molto femminile stirarsi così a tavola…”
Marco. Ancora un ragazzo ma decisamente troppo grande per lei. Non c’era molto raggio d’azione per una civetteria e Lena si limitò a rispondere inacidita:
“ Anche tu non sei molto delicato. Ho ancora il tuo gomito infilato tra le costole, te lo restituirò’ a fine giornata”.
Una leggera folata di vento gli spostò la lunga frangia, lasciando che il castano degli occhi fosse illuminato dal sole, poi ammiccò un sorriso facendole capire che l’aveva trovata simpatica e tornò a parlare con qualcuno seduto difronte a lui, un uomo senza volto. Lena fissò l’uomo dall’ altra parte del tavolo e poi tutte le persone che erano intorno, anche il tizio che rideva a bocca aperta, erano tutti senza volto, come se Dio ci avesse passato sopra un dito, sfumandone i contorni. Si strofinò gli occhi e guardò Marco. Era nitido e la stava fissando.
“Vuoi vedere una cosa, Lena?”
Le afferrò la mano e la costrinse ad alzarsi senza aspettare la risposta di lei, che lo seguì senza dire una sola parola. Lasciarono il tavolo e si diressero verso la ringhiera dei gelsomini. Lei si sporse e si meravigliò della campagna che si estendeva limpida fino ai monti, scuri e lontanissimi.
“Sta per piovere”
Disse Lena fissando delle ombre nel lago lì vicino.
“Ma che stai guardando?”
Rispose Marco, ridendo
“Guarda lì giù’, in quello spazio a destra dietro le vigne”. Lei abbassò lo sguardo e gli occhi cominciarono a muoversi velocemente cercando qualcosa a destra, qualsiasi cosa fosse diverso da vigne, piante, fiori… e poi li vide, un uomo e una donna facevano l’amore, buttati a terra, sicuri che nessuno potesse vederli.
Lena portò le mani sulla bocca aperta e sgranò gli occhi increduli.
“Ma che fanno? Sono matti!”.
Disse con un sorriso misto a eccitazione, come se avesse scoperto la cometa di Halley.
“Si cercano. Si sono appena conosciuti. Lui la tocca delicatamente perché ancora non sa fin dove può spingersi, lei gli chiede di guardala mentre fanno l’amore perché vuole sapere quanto la desideri, e sono ancora vestiti perché c’è ancora imbarazzo tra loro”.
“Come sai tutte queste cose?”
Gli chiese.
Marco le strinse di nuovo la mano e la portò in un altro punto della terrazza, per vedere la coppia da un’altra angolazione. Più vicino.
“Siamo noi”
Disse con la voce spezzata di un vecchio nostalgico.
Lena sbottò a ridere e gli lasciò la mano credendo in un approccio viscido di lui, ma Marco le prese il viso tra le mani e la costrinse a guardare di nuovo. Le pupille di lei si fecero enormi per mettere a fuoco. Come poteva essere? Erano davvero loro, almeno vent’anni dopo. Lena era incredula, eppure si riconosceva nella gestualità di quella donna, nel modo in cui le piaceva toccargli il viso e adorava il modo in cui lui le stringeva le mani nel piacere. Poteva quasi sentirlo.
“Vieni”
La voce di Marco arrivava come un’eco. Sembrava lontanissima. Tutto era rallentato, lui, lei, i due che facevano l’amore e anche il vento cessò di soffiare. D’improvviso il locale fu vuoto di rumori, di risate e un silenzio assordante si fece spazio. Non c’era più nessuno e il mondo divenne immobile.
Marco le riprese la mano e si diresse in una sala all’ interno.
Tutto era immoto come in una fotografia. Un tizio era rimasto fermo nel gesto di raccogliere una moneta caduta a terra, mentre pagava il conto. Una cameriera prendeva l’ordine a un tavolo con un sorriso fisso e una mollica rimase sospesa in aria, lanciata da un ragazzino alla bambina del tavolo accanto.
Marco si fermò al centro della sala e cominciò a guardarsi intorno come se stesse cercando qualcosa di preciso. Qualcuno.
“Ci siamo” esclamò.
“Cosa? Che vuol dire? Dove siamo?”
Lena cominciò a guardarsi intorno come se delle persone dovessero sbucare all’improvviso da dietro le tende o da sotto i tavoli con una telecamera nascosta, gridando allo scherzo.
“Guarda a quel tavolo”
La voce di Marco era di nuovo nostalgica.
Un uomo e una donna in abiti eleganti erano seduti e si tenevano per mano tenendo le dita intrecciate tra loro, con l’altra mano tenevano dei calici alzati. Brindavano a qualcosa. La fiamma della candela sul tavolo era ferma, ma indicava una serata romantica, forse un anniversario. Erano marito e moglie. Erano di nuovo loro, Marco e Lena, e sembravano amarsi molto. Rimase ferma a guardare quella coppia statica, con lo sguardo sorpreso di chi vede correre un cane con le rotelle al posto delle zampe.
Che cosa avrebbe potuto dire? Tutto era così assurdo e eccitante allo stesso tempo. Nessun pensiero le passò per la mente, nè alcuna parola venne fuori dalla sua bocca.
Marco accennò a un sorriso e la condusse a un altro tavolo. La coppia di prima, loro, era invecchiata di altri vent’anni almeno. Seduti allo stesso lato del tavolo, appoggiavano una la testa su quella dell’altro e guardavano con aria malinconica delle vecchie foto. Lena guardò più da vicino l’immagine ormai ingiallita e si riconobbe insieme a Marco, giovanissimi, con gli stessi abiti che indossavano ora. Erano seduti a terra e c’era dell’acqua sullo sfondo, forse era il mare. Lui le regalava un fiore e sua madre li guardava maliziosamente. Chi sa chi aveva scattato la foto? Pensò guardando Marco negli occhi, che divennero improvvisamente tristi. Guardava nel fondo della sala, in un angolo avvolto dalla penombra. Seduto a un tavolo che non era apparecchiato, c’era un uomo anziano. Con le mani poggiate sul bordo del tavolo fissava un punto nel vuoto. Lena fece un passo in avanti per avvicinarsi, ma Marco le strattonò la mano, quasi avesse paura di avvicinarsi a quella figura spenta. Sapeva… e anche Lena cominciò a intuire, ma gli strinse forte la mano e ora era lei che conduceva lui attraverso la stanza, intorno ai tavoli, alla gente immobile, fino all’ uomo anziano, fino a se stesso. Le sopracciglia bianche, folte, formavano un arco intorno agli occhi infossati e rugosi. Due grandi righe incorniciavano gli angoli della bocca che puntavano verso il basso. La postura era dritta, impettita come quella di una statua o un soldato sull’ attenti, non perché il tempo si era fermato come per gli altri, ma perché quell’ uomo, Marco, doveva aver vissuto una vita fatta di regole e rigidità, di imposizioni autoinflitte e abitudini e rinunce. E aveva il collo grosso, perché la solitudine di mille vite, che aveva ingoiato a forza, si era fermata lì.
“ Che hai fatto della tua vita? Sei… solo”
Disse Lena, commossa alla vista di quell’ uomo avvolto dalle ombre della sala e dal buio della sua vita, giunta quasi al termine, con gli occhi vuoti di speranza per un altro futuro. Non c’era più tempo per altro.
“E credi che sia l’unico?”
Rispose Marco quasi rabbioso.
“Guarda bene”
Continuò alzando la voce.
La prese alle spalle e cominciò a spingerla verso un altro tavolo, all’ altra estremità’ della sala, vicino una finestra che dava sul lago dove prima lei aveva visto riflettersi delle nuvole scure.
Una donna anziana sedeva da sola a un tavolo non apparecchiato. Con un gomito poggiato sul tavolo e il mento sul dorso della mano, guardava fuori dalla finestra. Doveva aver riso molto nella sua vita, forse era stata davvero felice o, forse, solo molto allegra ma le rughe della sua bocca erano quelle di una donna che era stata raggiante. Poi Lena le fissò gli occhi e si riconobbe nello sguardo malinconico, lo stesso che aveva ogni volta che il cielo preannunciava la pioggia. Forse era per questo che la donna guardava fuori, sapeva, come Lena quando era ancora sulla terrazza con Marco, prima che tutto cominciasse, che il tempo stava cambiando e che tutto si sarebbe trasformato, che il cielo sarebbe diventato d’acciaio e la pioggia fitta di un temporale estivo le avrebbe inondato anche l’anima.
Lena si voltò di scattato verso di lui e lo afferrò per le braccia.
“Dobbiamo ricordarci di questo posto, dobbiamo fare qualcosa per cambiare gli eventi. Siamo soli. Possiamo non esserlo. Possiamo…”
“Ma è per questo che siamo qui, ora e tra trenta, quaranta, cinquant’ anni, perché ce lo ricorderemo. Siamo e saremo ancora qui, noi due, forse insieme, forse no. Non possiamo sapere quello che sarà delle nostre vite. Tra noi e quelle persone al tavolo ci sono anni di infinite scelte giuste e sbagliate, milioni di treni presi e altri persi, possibilità, rinunce, liti, separazioni e amori. Ma infondo che importa, se alla fine della vita staremo comunque seduti qui a ricordarci di noi due?”
Il cuore di lei batteva forte. Non la capiva l’arrendevolezza di Marco ed era furiosa per l’impotenza che quella situazione le imponeva. Avrebbe voluto gridare a quell’ uomo anziano di voltarsi a guardare la donna alla finestra, di riconoscerla e di amarla ancora perché lei era lì ad aspettare ancora lui. Gli avrebbe fatto vedere la coppia sposata al tavolo e gli avrebbe imposto di capire che cosa aveva perso. E poi guardò Marco, ancora giovane, e con le lacrime agli occhi lo implorò di ricordarsi di lei, sempre, ogni giorno perché solo cosi’ il futuro sarebbe potuto cambiare e loro non sarebbero mai stati soli. Sarebbero stati la coppia di anziani seduti al tavolo a guardare le foto di loro in quel giorno assurdo in cui passato, presente e futuro si intersecavano mostrandosi in tutte le opportunità mancate. Oh Dio c’era da impazzire a pensare al tempo.
“ Amami sempre, sempre… sempre”.
Continuava a ripetere Lena, e poi di nuovo un colpo al fianco.
“Sempre cosa?”
Chiese Marco ridendo alla vista di lei che si risvegliava, ancora seduta al tavolo sotto i glicini.
“Dormito bene, ragazzina? Non mi era mai capitato di vedere qualcuno dormire al tavolo di un ristorante”
E rise forte.
Lena si tirò su di scatto. Marco le aveva dato un’altra gomitata e lei si era svegliata con la testa appoggiata alla spalla di lui.
Il locale si era quasi svuotato e l’uomo che prima rideva con la bocca piena, propose una passeggiata al lago.
Camminarono attraverso la campagna e le vigne sotto il locale. Lena si voltò a guardare la terrazza di gelsomini alle sue spalle. Era da lì che si vide fare l’amore con Marco nella vigna che ora percorreva, vent’anni dopo. Abbassò lo sguardo imbarazzato, come avesse paura che lui potesse leggerle nel pensiero e continuò a camminare. Il lago era finalmente davanti a loro e rifletteva i colori di un tramonto in arrivo. Si sedettero a terra mentre gli altri si sparpagliavano in giro, commentando il panorama con frasi banali. I pensieri di lei erano intralciati dal ricordo di quel sogno incredibile e divenne silenziosa. Marco si mise un filo d’erba in bocca come fosse una sigaretta. Anche lui era silenzioso ma d’un tratto poggiò la sua testa a quella di lei. Rimasero fermi qualche minuto, senza dire una parola, stanchi come se il sogno di lei lo avessero davvero vissuto entrambi. Poi si rimise dritto sulle spalle e lei sentì il rumore di altri fili d’erba che venivano strappati. Qualcuno scattò una foto. Sua madre li guardava maliziosamente… mentre lui regalava a Lena un fiore.